La vergogna: una emozione che guida le azioni degli adolescenti

La vergogna: una emozione che guida le azioni degli adolescenti

AUTRICE: Valeria Palano, psicologa psicoterapeuta

Le emozioni

Ogni emozione ha un linguaggio ed una funzione adattiva utile, per ripristinare o mantenere il benessere della persona.

Se il nostro organismo reagisce ad uno stimolo interno o esterno, significa che ne ha bisogno per ritrovare il suo equilibrio.

Le emozioni servono proprio a questo: a reagire a qualcosa o qualcuno che ci scuote.

Se mentre guido la macchina percepisco un pericolo, si attiva in me l’emozione della PAURA che mi permette di acuire i sensi, aumentare i livelli di concentrazione e mi mette nella condizione di schivare o risolvere il problema.

Situazioni analoghe avvengono se subisco un attacco dall’esterno e si attiva la RABBIA, o se affronto una perdita e si attiva la TRISTEZZA ecc…

A volte perdiamo la capacità di leggere le vere potenzialità delle emozioni. La società ci ha insegnato che ci sono emozioni positive e negative e ci hanno addirittura fatto credere che esistono emozioni degne di essere provate ed atre che devono essere represse. La RABBIA, ed esempio, va controllata e negata, mentre la FELICITA’ va ricercata e mantenuta: come se le emozioni potessero essere durature e permanenti.

La vergogna

Anche la VERGOGNA è un’emozione e in quanto tale è importante comprendere il messaggio che essa veicola. Quando è ben canalizzata, il suo compito è quello di tutelare il nostro Sé e dissuaderci dal compiere azioni che potrebbero metterci in difficoltà, rispetto al nostro codice etico e morale interno.

Sarebbe bello se fosse così semplice, ma le cose si sono complicate e la vergogna ha perso la sua funzione originaria, nel momento in cui è diventata un’emozione con una forte connotazione sociale.

Sembra essere diventata una condizione umana da provare a comando e spesso si sente dire ai bambini: “Vergognati per quello che hai fatto!” oppure al contrario “Dai vai sul palco, non ti devi vergognare!”. Probabilmente quel bambino non si vergogna affatto per l’azione che ha commesso, mentre si vergogna di salire sul palco, perché il suo codice interno segue regole diverse da quelle dettate dall’ambiente esterno.

A livello fenomenologico, la vergogna viene descritta come una sensazione sgradevole di nudità e trasparenza, che comporta il desiderio di sparire dalla vista degli altri.

Eva, nell’Antico Testamento, dopo aver mangiato il frutto proibito, si accorge della sua nudità e si sente in imbarazzo; il bambino fino ai 3,4 anni non esita a mostrarsi al suo pubblico per divertire o divertirsi, ma improvvisamente (dai 5/6 anni in poi) si accorge di essere su un palco e di essere guardato per la sua performance, che farà di lui uno bravo bambino.

L’azione perde la sua spontaneità, perché acquisisce un significato di “valore” (“Tu vai bene” oppure “Tu non vai bene”). Allora diventa importante stabilire: chi e cosa decreta le qualità di una persona. Di fronte ad un tribunale è un giudice, in una famiglia è il genitore, a scuola è l’insegnate, nel gruppo dei pari sono gli amici o i compagni: ciascuno di questi adotta i suoi codici, a volte anche diversi tra loro, se non addirittura dissonanti.

Per l’adolescente, che vive un momento esistenziale intriso di cambiamenti e di ridefinizioni dei codici interni, tutto diventa complesso.

Avere un codice interno solido, permette di vivere la vergogna come un’emozione costruttiva, che guida permettendo di fare scelte e mettere in atto azioni finalizzate ad affermare e riaffermare il senso del Sé e lo stare nel mondo.

Se, invece, il codice interno non è ancora ben formato, si rischia di vivere questo stato d’animo come risposta alle emozioni espresse da altri. La collera, l’indignazione, lo scherno, il disappunto dell’altro possono generare un senso di vergogna, perché riflettono il giudizio che lui proietta su di noi.

La vergogna, le aspettative e le azioni degli adolescenti

In una società in rapida trasformazione come quella in cui viviamo, la vergogna indotta ha spostato il focus di attivazione. Fino ad un paio di generazioni fa, il bambino si vergognava per aver commesso una cattiva azione, oggi, dove gli interessi prioritari si sono spostati principalmente sulle performance, sul risultato, sul successo e sull’approvazione, ci si vergogna per non essere stati all’altezza delle aspettative o per aver deluso qualcuno.

In contesti fortemente centrati sull’immagine, i ragazzi hanno imparato che per esistere bisogna avere gli occhi puntati su di Sé. Questo messaggio implicitamente già passa dalla famiglia, dove tutto viene ripreso, filmato, registrato, guardato, riguardato, e trova ulteriore

rinforzo nel gruppo dove, per essere popolari, si passa attraverso la ricerca di like e la pubblicazione di foto, selfie e video ben congeniati.

In questi ambiti, la vergogna si sperimenta quando si riceve il diniego, il rifiuto e la non approvazione da parte degli altri. Anche il corpo viene coinvolto in questo processo di accettazione e i cambiamenti puberali, insiti nell’adolescenza, poco si confanno con l’immagine ideale che l’adolescente vorrebbe di Sé; questo dà il via a circoli viziosi, dove la vergogna la fa da padrone, indebolendo i valori identitari della persona.*

*(ossia quello che ci fa riconoscere dagli altri, ma in cui noi ci riconosciamo)

La vergogna quando funziona bene, come emozione autoregolativa, attiva importanti funzioni, quali ad esempio le capacità di auto osservazione, l’intimità, il senso del pudore…ma quando invece è indotta dall’esterno ed è accompagnata dalla svalutazione e dall’umiliazione genera dolore, rabbia, tristezza e induce il ragazzo a scomparire dallo sguardo degli altri (ritiro sociale) oppure a rimuginare progetti di vendetta (disturbi antisociali o della condotta) ad attivare azioni punitive (autolesionismo e suicidio) e fare tentativi di trasformazione (alterazioni della condotta alimentare).

La vergogna “buona” non vuole minacciare l’integrità dell’Io, ma piuttosto garantirla. La vergogna “buona” blocca l’azione per evitare di esporci a comportamenti inopportuni per il nostro decoro; la vergogna “cattiva”, invece, ci spezza quando quel comportamento, una volta messo in atto, ci mette alla berlina.

Qualcuno mi istiga a pubblicare un video osé su TikTok:

  1. il mio codice interno attiva la vergogna “buona” e decido di non farlo…sono salva! Qualcuno mi potrà schernire, ma la mia immagine non sarà compromessa o esposta impropriamente al pubblico;

  2. pur di assecondare la richiesta che mi è stata fatta (per motivi diversi: ricerca di approvazione, mancanza di coraggio, voglia di compiacere, desiderio di ricevere apprezzamenti…) pubblico il video che poi a mia insaputa viene divulgato, ricevendo tanti commenti non tutti piacevoli…mi sento più nuda del video che ho pubblicato (come Eva, mi accorgo della mia nudità e della mia fragilità).

Cosa possono fare i genitori dei figli adolescenti?

Si potrebbe agire su due fronti:

  • fortificare il codice interno dei ragazzi, lavorando sulla loro autostima, affinché esso possa avere più forza e valore di quello esterno e possa consentire alla Vergogna “buona” di avere il sopravvento su quella “cattiva”;

  • disincentivare questa cultura dell’immagine, del successo, della performance e dell’apparire, aiutando Narciso a non essere vittima della propria immagine.

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