AUTORE: Simone Berti, psicoanalista
Uno strano paradosso vuole che da un lato la dimensione materica del corpo sia qualcosa che ne testimonia la finitezza come inevitabile, dall’altro noi affidiamo proprio al corpo il compito di garantirci un senso di continuità rispetto alla nostra esistenza. Rimanere “io” nel tempo è visto come qualcosa legato alla persistenza del nostro corpo, anche se il nostro corpo non conserva praticamente niente del corpo originario, né dal punto di vista dell’immagine né dal punto di vista della materia, perché probabilmente, tranne forse le cellule cerebrali che non si modificano, tutto il resto non ha più niente in comune con quello che noi siamo stati dalla nascita. L’altro aspetto che richiama la finitezza è “l’essere in relazione”, quindi non autonomi, non indipendenti dall’altro: è il fatto che non possiamo far nascere noi stessi. Il nostro corpo nasce non attraverso un gesto di autocreazione, ma attraverso l’altro, non solamente come dipendenza fisica in quanto un altro ci genera, ma anche perché è attraverso lo sguardo dell’altro che il nostro corpo ci appare come qualcosa di unitario, non frammentato, che “quel corpo che si ha diventa il corpo che si è”.
Ma essere quel corpo ci garantisce di rimanere quel corpo nel tempo?
Winnicot scriveva che non è così evidente che io sia il corpo o che io abbia il mio corpo. Il processo attraverso il quale un bambino o una bambina giungono a realizzare una rappresentazione del proprio corpo e il divenire coscienti che questo corpo appartiene solo e soltanto a loro è una conquista che non dobbiamo dare per scontato.
Quando si lavora con gli adolescenti si tocca con mano l’importanza del corpo per la vita psichica e mentale. Si ripropone al giovane il compito di trasformare il corpo che si ha nel corpo che si è. C’è una difficoltà dolorosa nel rispondere alle richieste psichiche che la realtà del corpo in trasformazione impone a un giovane o a una giovane durante la pubertà. Queste trasformazioni che si riflettono sull’immagine corporea influenzano e trasformano radicalmente la relazione con gli altri. Nel corso dell’adolescenza si incontra spesso un desiderio di trascendere il corpo, di essere da qualche altra parte, altrove da un corpo reale, di non essere rappresentati da un corpo che ci rimanda mancanza di controllo, impossibilità di comando e ci fa toccare con mano l’alterità che vorremmo negare ad ogni costo. Molti disagi nell’adolescenza affondano le radici nei destini del rapporto con il proprio corpo che intanto deve rispondere alle domanda se il corpo che abito è davvero mio e non di un’altra persona, per esempio di mia madre. Il processo psichico dell’adolescenza mette in moto una revisione destabilizzante dell’identità personale che è radicata nel corpo. Il corpo si impone in maniera forzata all’attenzione della mente. Le erezioni, la masturbazione e le mestruazioni si intromettano in un’oasi di relativa calma della dimensione fisica dello stadio prepuberale. Per molti giovani l’orgasmo diventa un punto focale attorno al quale può essere organizzato un senso della realtà dei genitali.
Tra chi si occupa di adolescenza lo sguardo può porsi da prospettive differenti. Per semplificare direi che da un lato si rivolge attenzione a rinforzare le difese che possano contenere e arginare i pericoli posti al giovane dalle trasformazioni puberali e altri che ritengono determinante accompagnare quel giovane in un lavoro di costruzione di un nuovo modo, singolare ed unico, di stare al mondo e soprattutto di vivere i legami e le relazioni. In questa seconda ottica, che è anche quella della psicanalisi, l’adolescenza come apice di un momento critico diventa un punto di partenza nella costruzione di una nuova organizzazione.
In adolescenza assume di nuovo un’importanza decisiva trovare nello specchio l’unità della propria immagine e ancora una volta, come nel bambino, si ha bisogno di ricevere conferma dall’altro per far fronte all’angoscia e non precipitarsi in regressioni riparative. D’altro canto non si tenta più di assomigliare a un ideale ma lo si diventa proprio. Ed è proprio in questo punto che si può istaurare il bisogno di creare un immaginario idealizzato del proprio corpo che sostenga un’ esperienza di fusione con il corpo della madre pre-sessuale fino a disconoscere la realtà degli scambi sessuali e vivendo una scissione evidente con il proprio corpo. In questo senso l’immersione nel cyberspazio può diventare l’illusoria soluzione al tumulto interiore dell’essere in un corpo, una promessa di evasione non solo dal corpo ma anche dal pensiero e dai contenuti affettivi. (Lemma 2018)
Il corpo divenuto protagonista nei media, è un corpo sempre più ridotto a se stesso, alle parti che lo compongono: sparisce il corpo vissuto, il corpo pensato, animato, rimane una massa corporea malleabile e scomponibile, un corpo su cui ci si illude di poter intervenire a nostro piacere. La dimensione di intimità del corpo è portata a dissolversi in funzione di un corpo sempre più partecipato. Questo sparire graduale dove i contorni si fanno meno definiti, l’identità meno netta e dove in qualche modo ci possiamo assomigliare tutti e ritrovarci in uno sfondo comune è già un modo di disabituarsi a pensare il nostro corpo come finito e limitato, portatore di una singolarità assoluta.
Il sapere intorno al corpo è un sapere che risponde a esigenze sociali, attraverso discorsi che irreggimentano e normano il corpo vissuto, tanto che è impossibile reperire un corpo naturale, dato che siamo sin dagli inizi iscritti in un mondo culturale, immersi nel suo linguaggio. Attualmente, da un corpo che è stato considerato a lungo prigioniero dell’anima, si assiste ad una invasione di culti del corpo, si vuole ritrovare una condizione di spontaneità, pienezza, attività corporea, cancellate dal prevalere dei codici verbali.
Lo spazio virtuale viene percepito come uno spazio di libertà privo di costrizioni. Una libertà che diventa irresistibile e totalizzante fino a fantasticare un corpo che dipenda soltanto dalla nostra decisione. Tuttavia una sensazione di vertigine e di onnipotenza nasce proprio dall’illusione di poter abolire la realtà della differenza e della separatezza. La dissolvenza promuove l’illusione del disincarnato come se lo spazio virtuale potesse dissolvere anche la tirannia dell’immagine dello specchio, dell’essere in un corpo con tutta l’angoscia ad esso connesso. Un mondo che rende tutti uguali ci restituisce una identità condivisa che evita di esporci all’esperienza della differenza e a quel senso di insufficienza che tutti noi dobbiamo riuscire a gestire con le nostre risorse. In discussione non c’è soltanto l’orientamento sessuale ma la stessa identità di genere. Così come la nostra organizzazione spazio-temporale.
Fare i conti con la realtà di un corpo sessuale maturo riporta il soggetto alle angosce primitive di dipendenza e separazione dalle figure parentali. Meltzer parla di un’ansia confusionale che viene attribuita a tutti gli adolescenti ma se le relazioni precoci hanno dato vita ad un’immagine corporea fragile e scarsamente investita o con parti del corpo non integrate nella rappresentazione di sé, le richieste imposte da questa fase di transizione potrebbero risultare semplicemente insopportabili. Tra l’altro la trasformazione del corpo non può più essere disciplinato con l’aiuto dell’autorità parentale ma dovrà trovare in autonomia e in solitudine il suo percorso. Questo determina per i genitori una sensazione di esclusione, un sentirsi tagliati fuori, un senso di impotenza a cui occorre trovare il modo di far fronte, ma anche di saperlo semplicemente tollerare perché è proprio questo distacco a consentire al giovane di giocare la partita che lo porterà a separarsi e ad accedere ad una maggiore autonomia. Questo distacco passa dalla delusione, dalla scoperta della menzogna dell’altro e dalla mancanza di risposte soddisfacenti da parte dell’adulto, non perché l’adulto non sia in grado di darle queste risposte, ma proprio perché non le possiede. E’ un passaggio talvolta distruttivo, aggressivo se non talvolta con tratti autodistruttivi. Ma se la separazione dal desiderio dei genitori è necessaria questo non significa che i genitori non mantengano un loro ruolo. Non si tratta di mettersi in disparte o semplicemente lasciare la scena. In questa separazione qualcosa deve essere anche trattenuto, il genitore deve aver potuto donare al figlio anche una testimonianza del proprio desiderio, non tanto di ciò che si focalizza sul figlio ma di ciò che lo appassiona come uomo o come donna con tutto il corredo del corpo che abita. Qualcosa che non è dell’ordine di un insegnamento tramandato ma che rimane attaccato addosso attraverso il proprio modo di testimoniarne. La passione e l’amore per la vita del genitore rappresenta ciò che in un certo senso dà forza e consistenza alla costruzione nel giovane di un senso proprio, traccia il disegno di un percorso di autonomia. Nel suo essere un passaggio critico rappresenta anche una seconda possibilità sia per i genitori che per i giovani ragazzi. La testimonianza del desiderio di un padre o di una madre creano un solco in cui il figlio può trovare, non la ripetizione di quel desiderio che lo ha anticipato, ma il senso unico di un desiderio che possa articolare il suo essere uomo e donna nel corpo che ha ricevuto in dotazione. Un passaggio brusco e a volte drammatico, che per lungo tempo smarrirà la traccia delle proprie radici per poi talvolta ritrovare e riconoscere di nuovo nella vita da adulto.