Riaccendere la passione

Autrice: Monica Nobile, pedagogista.

In questo articolo sulla dispersione scolastica la dott.ssa Nobile, dopo un’analisi generale del problema e dopo aver focalizzato il momento migliore per intervenire,
racconta, scrivendo in prima persona, di una possibile “buona pratica” a partire dalla sua personale esperienza. In particolare descrive un progetto da lei coordinato a Venezia e provincia che da alcuni anni coinvolge con successo ragazzi, educatori e famiglie.

Il tema della dispersione scolastica è drammaticamente attuale in Italia, sono in aumento i ragazzi che lasciano la scuola e nel contempo si abbassa l’età in cui escono dal circuito formativo.

In questi anni sono stati stanziati consistenti fondi nel tentativo di arginare il fenomeno e sono proliferati progetti in risposta all’emergenza.

La dispersione scolastica viene considerata rispetto a una molteplicità di fattori, non solo il vero e proprio abbandono ma anche le frequenze irregolari, le ripetute bocciature, i reiterati e fallimentari cambi di scuola, la conclusione dell’obbligo senza conseguimento del diploma.

Riguarda anche quegli studenti che per diversi motivi continuano a recarsi a scuola senza farne parte: quelli che di fatto escono dalla rete di relazioni con adulti e coetanei e restano parcheggiati, mantenendo, quindi, una presenza fisica che non è, tuttavia, accompagnata da un reale coinvolgimento.

Alcuni elementi comuni

Elementi comuni sono il distacco e la perdita di interesse e di senso, da un lato, il basso rendimento, l’incertezza sulle proprie capacità, la mancata motivazione all’apprendimento e al raggiungimento di obiettivi, dall’altro.

Nella lettura del fenomeno assume rilevanza l’analisi delle situazioni e degli eventi accaduti PRIMA: quando e perché uno studente si è perso.

Quali esperienze hanno segnato i ragazzi che lasciano la scuola? Quali fratture si sono verificate? Quali i conflitti con le persone che li accompagnavano o li avrebbero dovuti accompagnare nel loro percorso?

Perché finiscono per non sentirsi all’altezza, perché ostentano il loro banco vuoto come segno di liberazione, come prova di una riconquistata libertà da un sistema che li fa sentire oppressi e nemici?

E quali alternative trovano?

Spesso affermano “finalmente faccio quello che mi pare” e lasciano trasparire, al di là di un apparente atteggiamento sbruffone, la sofferenza e il disagio del non avere un posto nel mondo: non hanno improvvisamente più l’età per fare le cose che si fanno da studenti, né quella per partecipare al mondo dei lavoratori, non frequentano più spazi e luoghi di incontro tra giovani che studiano, non sono coinvolti nelle opportunità destinate agli adulti.

Si costruiscono un mondo a parte – spazi della città appartati, anonimi, marginali  e un tempo a parte – dormono fino a tardi e escono la notte quando chi ha un’occupazione se ne va a dormire.  Vivono una sorta di apatia che dalla scuola si estende alla loro vita.

Fatico a individuare con loro qualcosa che li interessi.  Spesso, per superare il loro senso di vuoto, ricercano situazioni estreme, individuano nella trasgressione la possibilità di ritrovare entusiasmo, “sento l’adrenalina” mi spiegano, quando raccontano il loro modo di trascorrere il tempo mettendosi in pericolo. In altri casi mi descrivono ore trascorse tra uno schermo e l’altro, in solitudine o impegnati in relazioni virtuali che li allontanano dalla vita sociale reale.

Come affrontare tutto questo?

Riparare alla rottura con la scuola travalica, in questo quadro, la formulazione di progetti che accompagnino alla conquista di un titolo di studio: l’obiettivo non può limitarsi ad azioni che riportano i ragazzi sui banchi, occorre riaccendere in loro la motivazione, perché nel vuoto lasciato dalla perdita della loro vita da studenti si apre lo scottante capitolo della prevenzione dal rischio e dall’isolamento sociale.

É per questo che, quando lavoro in questo ambito, mi sgancio da questioni sullo studio, le verifiche, i professori e provo ad aiutarli a capire come riassaporare la vita, possibilmente in modo sano, anche a partire da piccoli atti quotidiani che restituiscano soddisfazione e motivazione. Fiducia nell’essere in grado di fare qualcosa  e di farlo bene. Poiché ritengo che la priorità, in tali situazioni, sia quella di riaccendere in loro la spinta vitale.

La teoria delle intelligenze multiple

Ritengo particolarmente utile  il riferimento alla teoria delle intelligenze multiple teorizzata da Howard Gardner.

Nella sua analisi, Gardner parte da una constatazione: la cultura occidentale dominante valorizza solo due tipi di intelligenza, quella linguistica e quella logico-matematica. Nel suo modello, invece, vengono indicate nove tipologie: linguistica, logico-matematica, visuo-spaziale, corporeo-cinestesica, musicale, intrapersonale, interpersonale, naturalistica, esistenziale o teoretica.

L’aspetto affascinante della sua teoria è che restituisce integrità e complessità alla persona, non più valutata secondo competenze necessariamente legate alle materie curricolari classiche, ma aprendo l’orizzonte alle molteplici possibilità di crescere e di arricchire il proprio bagaglio di esperienza, per vivere con pienezza e soddisfazione la vita. La capacità di immergersi nella musica e nell’arte, l’attitudine a esplorare il proprio mondo emotivo e quella di empatizzare e instaurare relazioni costruttive e positive con gli altri, la propensione a vivere l’ambiente naturale con la curiosità per i diversi fenomeni, l’essere armonici con un corpo che sa orientarsi e acquisire informazioni attraverso esperienze concrete … sono intelligenze che possiamo sviluppare e coltivare in un’ottica che integra la varietà delle competenze, uscendo da una logica gerarchica dove alcuni saperi hanno predominio su altri, ma piuttosto attribuendo valore ai punti di forza che ciascuno di noi ha. É questa una visione che agisce sulla autostima – non si limita al giudizio scarso in matematica ma apprezza la particolare sensibilità, per esempio, in campo musicale – e che invita a leggere il processo di insegnamento-apprendimento in un’ottica personalizzata che tiene conto dello stile personale con cui la persona si approccia alla conoscenza.

La ricaduta della teoria di Gardner in ambito scolastico è quella di uscire dalla logica schiacciante dell’essere bravi attraverso un sistema di misurazione standardizzato, ma di avere la possibilità di esprimere il proprio valore nelle diverse aree che fanno di ciascuno di noi persona intelligente.

Se questa occasione viene persa, se uno studente vive il fallimento perché riporta brutti voti nelle materie ritenute importanti, è poi impresa difficile sostenerlo nella sua autostima e riavvicinarlo all’esperienza formativa secondo altra prospettiva.

É dunque dalla prevenzione che dobbiamo partire. Dobbiamo intercettare i ragazzi prima, quando stanno cominciando ad accumulare le esperienze che li disaffezionano e li distaccano progressivamente dalla scuola, prima che si convincano di non valere senza rendersi consapevoli di ciò che sanno fare, talvolta davvero bene.

Il progetto

Coordino da qualche anno, in diversi territori della provincia di Venezia, un progetto rivolto agli studenti (400 circa) della scuola secondaria di primo grado.

Il progetto è gratuito e propone spazi educativi, dal lunedì al venerdì, dove vengono proposte attività di studio e attività creative e aggregative.

Ho sottolineato “educativi” perché sono luoghi dove i ragazzi incontrano operatori competenti che sanno dialogare con loro, ascoltarli, guidarli, supportarli. 

Nella presentazione del progetto riporto la dicitura NON É UN DOPOSCUOLA poiché reputo che fare subito chiarezza sugli obiettivi sia fondamentale.

Chi frequenta questi spazi può contare sul supporto di professionisti che lavorano soprattutto sugli aspetti metacognitivi. “Come funziono? Quali sono le mie strategie efficaci? Cosa rende complicato il mio rapporto con lo studio?”

Avverto genitori e insegnanti che non è garantito che i ragazzi tornino a casa con i compiti fatti, poiché l’impegno è quello di sostenerli nel loro percorso di ricerca del proprio personale modo di apprendere e di rafforzare la loro autostima.

Apprendimento, relazione, benessere, creatività

Il progetto non consente di aderire solo alla parte dedicata allo studio, poiché si fonda sulla premessa pedagogica che apprendimento, relazione, benessere, creatività, sono sfere correlate strettamente tra loro. Le attività dedicate all’apprendimento hanno pari dignità e rilevanza di quelle dedicate alla crescita personale e del gruppo.

Le proposte sono programmate in modo flessibile e strettamente correlate ai territori dove si svolge il progetto: dove c’è acqua ci sono, per esempio, attività in barca e i ragazzi imparano a governare una vela e a far parte di un equipaggio che, nell’accordo e nella coesione di gruppo, garantisce di seguire una rotta e arrivare a terra sani e salvi. Nei territori dove è significativa la povertà educativa, una proposta forte è quella del teatro, dove ciascuno può trovare il proprio posto, dalle scenografie alla colonna sonora, dalla recitazione all’espressione corporea. Non è scontato che ci sia un evento finale, gli educatori sgombrano dall’inizio il campo da possibili ansie da prestazione, riportando al piacere del fare e dell’imparare senza altro fine che non la crescita personale e di gruppo. Se i ragazzi lo chiedono può esserci una rappresentazione finale ma i laboratori non sono finalizzati a questo.

Il piacere di sperimentarsi

Nella presentazione del progetto compare anche un’altra dicitura: NON SCOPRIAMO TALENTI.

Quando programmiamo le attività raccogliamo proposte e suggerimenti dei ragazzi, incoraggiamo e stimoliamo interessi ma la nostra finalità non è quella di far scoprire a qualcuno in quale campo eccelle. L’obiettivo è quello di far scoprire il piacere di sperimentarsi, di approfondire la conoscenza di se stessi: nel modo di relazionarsi agli altri, nei gusti personali, nelle sensibilità e propensioni. L’obiettivo non può essere, infatti, quello di far emergere capacità straordinarie, non siamo tutti geni della musica o della matematica e ciò non ci impedisce di seguire i nostri interessi ed esplorare anche campi dove non siamo particolarmente ferrati. Ritengo importante affermarlo poiché sempre più spesso leggo di progetti che sollecitano – qualche volta promettono – la scoperta di doti eccezionali nascoste. Come educatrice sono poco interessata a questo aspetto, mentre mi sta molto a cuore che un giovane possa sentirsi speciale per ciò che è, senza dover essere continuamente pressato nella competizione e nella fatica di emergere. Non solo, sono molto interessata al fatto che un ragazzo poco incline ad una determinata sfera, possa comunque trovare il modo di partecipare con piacere a una esperienza, indipendentemente dal risultato che sarà in grado di garantire.

Ciò significa che, per esempio, un ragazzo possa vivere con grande piacere l’attività del canto senza bisogno che sia particolarmente intonato ma perché, magari, cantare lo aiuta a scaricare l’ansia e a raggiungere un benessere. E il coro troverà la strada perché ciascuno possa inserirsi, anche chi non ha particolari doti. La ricerca del percorso e degli stratagemmi per arrivare a una canzone piacevole da ascoltare, cantata anche dai ragazzi che stonano, è la parte centrale e più interessante del laboratorio musicale.

Prendere distanza da approcci che puntano al premio, all’eccellenza, all’esaltazione del talento, funziona: ci sono ragazzi che frequentano le  attività pomeridiane pur frequentando molto saltuariamente la scuola, perché sentono che si tratta di spazi liberi da pressioni.

L'importanza dell'alleanza con insegnanti e genitori

Il primo anno c’è stato un nutrito gruppo di adulti (genitori e insegnanti) che ha rifiutato il progetto, in alcuni casi direi che l’ha anche boicottato, perché l’ha inteso come perdita di un tempo che doveva essere dedicato ai compiti. “Ma come, non fanno i compiti?” “Sì sì bello il teatro, basta che non restino indietro con la matematica.” “Preferirei che le quattro ore fossero interamente dedicate allo studio, prima il dovere e poi il piacere.”

Nelle fasi iniziali, l’alleanza con gli insegnanti che hanno creduto nel progetto è stata fondamentale. Abbiamo potuto patteggiare sul carico dei compiti e condividere l’idea che lavorare sul metodo, sull’autostima, sul benessere, fosse un buon investimento.

Quest’anno l’adesione e la rete con le scuole è solida, ci sono molte richieste da parte di altri dirigenti scolastici di aderire con le proprie scuole, le liste di attesa delle famiglie che hanno fatto richiesta indicano che il messaggio è passato e che si trattava di un messaggio azzeccato.

Nelle fasi di monitoraggio, che viene condotto con rigore, ci sono due dati relativi alla restituzione dei ragazzi, che dobbiamo leggere e su cui dobbiamo riflettere. Nessuno si è ritirato. Un’alta percentuale dichiara che partecipa perché si diverte. Nei videobox messi a disposizione, un’alta percentuale di ragazzi afferma  “ci divertiamo così tanto che siamo perfino disposti a fare i compiti.”

Altro dato significativo riguarda gli insegnanti che durante i focus ci riportano il miglioramento del clima generale in classe e delle relazioni tra compagni, ma anche un miglioramento sul piano degli apprendimenti ed una maggiore cura nei compiti per casa.

Durante gli incontri con i genitori siamo riusciti, in questi anni, a riflettere sul miglioramento delle relazioni in famiglia laddove il conflitto sull’andamento scolastico veniva stemperato dal dialogo sulle esperienze soddisfacenti che i figli avevano fatto.

Ecco, credo sia un progetto che fa sentire a proprio agio ragazze e ragazzi, indipendentemente dal loro andamento scolastico, e dove sono coinvolti tutti gli attori della comunità educativa, dalle famiglie agli insegnanti, ai dirigenti. L’obiettivo non è quello di migliorare i voti, è la sperimentazione di esperienze formative in un clima di benessere emotivo. Sta succedendo, poi, che i voti effettivamente migliorano.

Perché, credo, prima che un ragazzo decida di lasciare la scuola, dobbiamo impegnarci a fargli assaporare la vita, ricostruire un filo spezzato tra sé e il suo territorio, dobbiamo accompagnarlo a conoscere qualcosa che lo appassioni. Concedendo un tempo, prima dei libri di testo e degli  esercizi, dedicato alla scoperta di sé. Così che quel ragazzo sperimenti con soddisfazione le sue molteplici intelligenze. Poi, credo, possiamo dedicarci a immaginare insieme a lui il suo progetto formativo futuro.