Parlare di sè: in classe

Autrice: Anna Guerrieri

Esiste un luogo sociale principale, dove, bambini e ragazzi, creano “storia”, dove ci si racconta e si raccoglie il racconto degli altri: la scuola. 

La scuola è, infatti, per eccellenza e fin dall’inizio, il luogo del raccontare, del dire, dell’ascoltare e dello scrivere, e ha istituzionalmente il compito di agevolare la costruzione del pensiero storico. Per farlo dà, prima di tutto, spazio alla capacità di ognuno di conoscere e narrare il proprio “tempo personale”  per permettere di sviluppare, attraverso questa fase, la comprensione di cosa significhi, poi, il “tempo corale”, quello di “tutti e tutte noi”. 

Nelle Indicazioni Nazionali (2012) dedicate alla scuola Primaria si indica infatti, tra i traguardi di competenze per l’ambito della storia, il fatto che l’alunno “riconosca elementi significativi del passato del suo ambiente di vita”. Tra gli obiettivi di apprendimento della terza classe, inoltre, si parla di saper “individuare le tracce e usarle come fonti per produrre conoscenze sul proprio passato, della generazione degli adulti e della comunità di appartenenza.

La scuola e la memoria

A scuola, d’altra parte, si ha a che fare con le funzioni pedagogiche della memoria, si può parlare, infatti, di una continuativa educazione “alla memoria”, “della memoria” e “per la memoria”.

Avere a che fare con la memoria, tuttavia, significa avere a che fare con il suo modo di “agire” dentro di noi. Duccio Demetrio nei suoi testi dedicati al raccontarsi mette in luce i significati di 4 azioni fondamentali:

  • Rievocare: chiamare e ridare voce ai ricordi;

  • Ricordare: riportare al cuore, rievocare emozionandosi;

  • Rimembrare: ricomporre, rimettere insieme il disperso;

  • Rammentare: riportare alla mente una situazione, una circostanza che andava svanendo.

Esercitare la memoria non significa solo esercitarla per imparare quello che è scritto sui libri, facendolo abbiamo modo di pensare ai nostri di vissuti. Quando si esercita la memoria, dunque, si ha sempre anche a che fare con ciò che il “ricordare” determina in noi stessi. 

Raccogliere le storie è una responsabilità

Al di là delle esigenze disciplinari, nella vita collettiva di ogni classe, per anni si intrecciano i ricordi individuali ai ricordi del gruppo e si tesse, giorno dopo giorno, una narrazione che è privata e collettiva al tempo stesso, fatta delle storie di ogni alunno e alunna e delle loro storie tutti insieme. 

Non c’è storia, tuttavia, che esca intatta dall’essere raccontata o narrata. Quando si racconta qualcosa di sé stessi (per desiderio spontaneo, perché si è invitati a farlo, perché si è sollecitati da progetti dedicati alla “storia personale” – come ad esempio nelle classi seconda o terza della scuola primaria – o da progetti autobiografici) si deve sentire di essere liberi di farlo e protetti nel farlo. 

Servono, inoltre, ascoltatori disposti a raccogliere con sincera disponibilità quel che diciamo.

La possibilità di raccontarsi

Alunni e insegnanti creano un tempo loro, differente da quello della famiglia. Un tempo di trasformazione e di crescita. In classe si vive ogni giorno vicino alle storie degli altri presenti (pari e insegnanti) e alle storie degli altri passati (autori e autrici della letteratura e dell’arte, scienziati e scienziate, personaggi della storia).  E’ questo a sollecitare le capacità narrative di ognuno: ascoltando il racconto delle storie degli altri si trova il modo di raccontare anche la propria storia.

E’ necessario tuttavia, in classe, sentirsi liberi, e al tempo stesso sentire che i propri limiti verranno rispettati, che ci sarà qualcuno pronto ad ascoltare senza il rischio di essere giudicati o senza che, la propria narrazione, venga costretta in una cornice prefabbricata, serve insomma predisporre luoghi e spazi in cui ognuno possa sentirsi, prima di tutto, a proprio agio e accolto.

Spunti indiretti e leggeri

Non si racconta di sé “a comando” e non lo si fa perché è stato assegnato un compito e verrà dato un voto. Né lo si può fare in assenza di regole protettive. Non è un caso infatti che una delle regole principali dei laboratori autobiografici sia sempre la libertà di non dirsi, di non leggere ciò che si è scritto ad esempio, o anche di non scrivere.

Se, in classe, si vuole stimolare la possibilità di pensarsi e raccontarsi, ossia se si vuole lavorare sul pensiero storico e sulla capacità narrativa (così importante anche dal punto di vista espressivo e degli apprendimenti), è importante che ci sia cura e struttura ma l’impalcatura deve necessariamente essere costituita di spunti indiretti e leggeri per permettere a tutti e tutte di trovare il modo proprio, personale, di raccontarsi (se davvero lo si desidera fare).

I libri di testo non sempre aiutano

In questo senso, i libri di testo usati in classe non sempre sono di aiuto e per rendersene conto basta prendere in mano uno dei tanti sussidiari usati nella scuola primaria là dove si affronta il tema della “storia personale” (classi seconda e terza).

I testi, sebbene ora più di un tempo cerchino di fare attenzione a come proporre il tema della storia personale, restano sostanzialmente focalizzati sulla narrazione (rappresentazione) di una struttura famigliare molto stereotipata.

Mancano, anche iconograficamente, le famiglie adottive, affidatarie, omogenitoriali, migranti, con coppie di genitori di etnia differente. Generalmente, nella raffigurazione delle famiglie, manca la rappresentazione in queste famiglie di bambini o famigliari con disabilità. Si presuppone che in queste famiglie ci siano due genitori (probabilmente non separati), nonni e forse anche bisnonni.

Il racconto che viene proposto a bambini e bambine è così, sovente, rigidamente strutturato, a partire da una “nascita” di cui tutto si sa, cui tutta la famiglia ha affettuosamente partecipato. Nei sussidiari non sono previste “altre storie”.

Grande enfasi viene posta, naturalmente stante quello che indicano le Indicazioni Nazionali, sulle “fonti” (orali-testimonianze, scritte-documenti, visive-foto/filmati, materiali-oggetti). Tuttavia, proprio il tema delle fonti, spesso, induce gli insegnanti a chiedere ai bambini di portare in classe documenti estremamente  sensibili quali foto riguardanti la nascita (a volte ecografie) o, addirittura, certificati di nascita e a chiedere ai bambini di domandare ai propri genitori e nonni di raccontare cose dei loro primi mesi di vita.

Questo tipo di approccio, centrato sull’idea di una famiglia esclusivamente basata sulla procreazione e sui legami biologici (bionormativista come dice Ferritti in Sangue del mio sangue), non prevede la presenza di bambini e bambine per cui tutte queste informazioni sono difficili da avere e fornire (ad esempio bambini e bambine con storie di adozione o di affido o in comunità)

Alcuni consigli sulla gestione della "storia personale" nella scuola primaria

L’esperienza maturata nella formazione dedicata al tema della storia personale quando in classe ci sono alunni e alunne con storie di adozione o affido, permette di distillare alcune indicazioni utili per qualsiasi tipo di progetto.

Prima di iniziare la parte dedicata alla “storia personale”, come insegnanti è necessario:

  • essere consapevoli delle composizioni familiari presenti nella propria classe per essere in grado di prevedere i punti vulnerabili dei progetti che si realizzeranno,
  • analizzare come viene presentato il tema della “storia personale” nei propri libri di testo. Se le pagine risultano troppo stereotipate si può non usarle, progettando il lavoro in modo diverso.

E’ bene, poi, prevedere di avere a disposizione una iconografia variegata che includa la presenza di persone di più etnie, di famiglie evidentemente adottive e/o affidatarie, omogenitoriali, di persone con disabilità. Bambini e bambine hanno bisogno di ritrovarsi nel materiale che viene messo a disposizione della classe. Esistono non pochi albi illustrati che possono essere usati per avere immagini e storie a disposizione.

Bisogna anche dare ai bambini strumenti adeguati per potersi rappresentare, descrivere, raccontare anche tramite disegni. Per esempio bisogna mettere a disposizione della classe pastelli in grado di riprodurre tutte le nuances della pelle. 

E’ importante, infine, prevedere di introdurre concetti come “La linea del tempo” e “Le fonti” in modo flessibile e non avvalendosi solo del privato dei bambini e delle bambine. Si può permettere di iniziare la “linea del tempo” da eventi diversi dalla propria nascita (ad esempio l’inizio della scuola primaria, la scorsa estate, un qualsiasi tempo personale ritenuto significativo dal bambino o dalla bambina). Volendo lavorare sul tempo che scorre e su una “linea del tempo” non personale possono essere osservati i cambiamenti cronologici di una pianta cresciuta in classe (basta sceglierne una dalla crescita rapida), si possono intervistare maestri e maestre, genitori e nonni (se presenti) sul proprio passato, permettendo di creare la loro “linea del tempo” (quella degli adulti intervistati). Si possono coinvolgere adulti prossimi della scuola o del quartiere. 

Bisogna essere attenti nel chiedere qualsiasi documento che contenga dati sensibili. Un certificato di nascita, ad esempio, è un documento che non si deve chiedere di portare in classe. E, in generale, è bene avvalersi di disegni più che di foto, chiedendo a bambine e bambini di disegnarsi ad esempio.

Per concludere

Conoscere la propria storia significa integrare diversi livelli: quello della conoscenza degli avvenimenti importanti e significativi che ci riguardano direttamente e quello dell’attribuzione di significato a tali eventi.

Collegare la propria storia a quella degli altri significa sviluppare capacità sociali complesse, che permettono di comprendere ciò che accade nel presente e di collegarlo a ciò che via via è accaduto nel passato. 

Si tratta di competenze importanti, cui va dato tempo e spazio per germogliare e crescere.

 

Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità... L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la propria identità, il proprio sapersi se stessi.