La noia

La noia

AUTRICE: Valeria Palano, psicologa, psicoterapeuta.

La noia, una emozione significativa per adolescenti e adulti, importante, poco esplorata. Iniziamo con l’autrice un viaggio nelle emozioni degli adolescenti proprio a partire dalla NOIA.

Tutto mi stanca: trascino a fatica la mia noia insieme con i miei giorni e vado dappertutto sbadigliando la mia vita.

Il concetto di noia nasce in Grecia con il termine “acedia”, successivamente preso in prestito dal cristianesimo, per descrivere uno dei peccati capitali, che rende impossibile ogni elevazione dello Spirito.

Comunemente l’accidia viene confusa con la pigrizia, ma in realtà essa ha a che fare con la “mancanza di cura”.  L’accidioso è colui che non riesce a prendersi cura di Sé, degli altri e delle proprie cose.  E’ una persona che lascia i progetti a metà e non riesce a raggiungere i propri obiettivi.

Se stessimo parlando di un’azienda, diremmo che è un’organizzazione che ha perso la propria vision e la propria mission e sta andando alla deriva.

Apatia e iperattività

L’accidia si manifesta in due modi: con l’apatia o con l’iperattività; infatti, sia la mancanza d’azione, sia l’azione frenetica e sconclusionata, inducono a perdere il senso della vita.

L’entusiasmo, la motivazione, la curiosità, l’interesse vengono meno e una voce interna che grida “ma che ti importa, lascia stare, non ne vale la pena!” depista e fa deragliare.

Per combattere questa voce, occorrerebbero perseveranza e pazienza, qualità che permetterebbero di ripristinare i binari e di stare sul pezzo, ma sebbene la soluzione sembri semplice, purtroppo “semplice” non equivale a “facile”.

Quando l’apatia e la noia (che useremo come sinonimi) arrivano, bisogna capire cosa sta accadendo nella sfera emotiva della persona che le prova. Se, infatti, assumono una durata ed un’intensità inappropriate, significa che celano una rabbia che si sta esprimendo nel modo sbagliato; se, invece, fluiscono liberamente nel tempo e nello spazio, significa che ci si sta concedendo una pausa ristoratrice dal lavoro e dalla concentrazione.

Quando ci crogioliamo a lungo su questa sensazione, oppure facciamo di tutto per reprimerla e soffocarla, rischiamo di creare uno squilibrio.

La necessità di distinguere

Per comprendere bene l’argomento di oggi è importante fare una distinzione tra l’apatia che si attiva perché si perde il contatto con il senso della propria vita e quella che sorge come repressione della rabbia.

Nella prima, ci si sente confusi e si mettono in atto azioni disordinate spesso intense, ma prive di pathos; nella seconda, invece, non si riescono a proteggere i confini della propria identità e quindi si rinuncia all’azione, per sfiducia o per ribellione.

Quest’ultima, la conoscono bene gli adolescenti e gli adulti che subiscono forti ingiustizie senza poter reagire. Quando non si riesce ad alzare la voce, o non si possono cambiare le circostanze della propria esistenza, la rassegnazione e l’apatia si attivano, per soffocare la sofferenza. Si ha la sensazione di stare nel posto sbagliato al momento sbagliato e l’apatia diventa una forma di evitamento e di dissociazione, che permette di allontanarsi almeno emotivamente. Pensiamo ai bambini che a seguito di episodi di violenza e/o incuria diventano catatonici, o più semplicemente, pensiamo ai ragazzi, che nel periodo della ribellione adolescenziale, sentono che le loro vite sono bloccate dalle richieste della scuola e dei genitori e per reazione, mettono in atto “uno sciopero bianco”, fissandosi davanti alla Play Station.

Quando si perde il contatto con il senso della propria vita, invece, si percepisce una profonda sensazione di vuoto, che porta a ricercare la distrazione della TV, oppure il conforto del cibo spazzatura, oppure la dipendenza dal fumo e da sostanze…

In questa dimensione, le persone non riesco più a capire sé stesse, si sentono insoddisfatte e piuttosto che prendersi cura del proprio vuoto mettono, avanti l’a-patia (intesa come azione senza pathos), immergendosi nel lavoro e andando avanti senza affrontare le questioni più profonde del malessere e dell’insoddisfazione.

Evitare l'ansia

Le attività meccaniche dell’apatia consentono anche di non cadere nell’ansia, perché in effetti essa ha una funzione chiave in tutte le situazioni in cui non è possibile intraprendere azioni risolutive.  Il ragazzo, che teme di confrontarsi con i coetanei, sceglie di stare in casa a studiare oppure a crogiolarsi con il cellulare, pur di sottrarsi all’ansia sociale; anche in questi casi, si mettono in atto azioni vuote, per evitare di stare fermi e di entrare in contatto con il “rumoroso silenzio” delle proprie emozioni e dei propri pensieri.

Pensate alle persone che quando entrano in una stanza o salgono in macchina, la prima cosa che fanno è accendere “Alexa” oppure la radio, o quelle che mentre guardano un film, “scrollano” il telefonino e leggono le notizie sui social. So che leggendo queste righe qualcuno si potrebbero riconoscere in questi comportamenti e credo sia interessante specchiarsi negli agiti della propria noia. Prima di criticare le azioni dei ragazzi, guardiamo quelle degli adulti, perché la questione della noia riguarda tutti! Anzi, a dirla tutta, siamo stati proprio noi “grandi” i fautori dell’iperattività degli adolescenti, che non fanno altro che replicare ciò che gli è stato insegnato quando erano più piccoli, ossia “muoversi e sbrigarsi, muoversi e sbrigarsi!”

Riconoscere che il “vizio” dell’apatia ci appartiene, ci consente di entrare in empatia con quei “marziani” che hanno chiuso la porta della stanza accanto, stanno maneggiando in modo frenetico il joystick del loro video gioco preferito e sono seduti sui vestiti puliti e stirati che avrebbero dovuto riporre dentro l’armadio. Il genitore, nel frattempo, ossessionato dalle e-mail di lavoro, dalla carriera, dallo stipendio, dalla casa, dalla macchina ecc., gli grida di andare a studiare.

Il “rumore bianco” dell’insoddisfazione e del desiderio

L’apatia permette a tutti, sia giovani sia adulti, di rimanere in una condizione di superficialità, senza ascoltare il “rumore bianco” dell’insoddisfazione e del desiderio, con la conseguenza di diventare degli “automi altamente distratti”. Eppure, saper tollerare la noia è un segno di salute mentale.

Annoiarsi è un’esperienza formatrice, utile alla crescita psichica di ogni essere umano.

Nel momento della noia, il bambino entra in contatto con le proprie emozioni e, come afferma Anna Oliverio Ferraris, “le lascia fluire in uno spazio interiore al di fuori delle influenze esterne”. In questo modo, impara a riconoscere e sopportare la gamma degli stati d’animo, tollerando sia quelli più intensi sia quelli meno intensi, senza il bisogno di spegnere i primi o accendere i secondi con azioni inappropriate.

L’abitudine di riempire con qualsiasi attività tutti gli istanti della vita dei bambini, può tradursi in una vera a propria nevrosi, alla cui origine è ravvisabile il terrore dei tempi morti.

“Cosa stai facendo di bello?” – “Mah niente … ammazzo il tempo … oggi mi annoio un po’!”

Così la noia ci rende assassini del nostro tempo: il bene più prezioso che abbiamo a disposizione. La noia ci fa sentire vuoti e ci tiene sospesi, fermando tutto!

Per combattere la noia, abbiamo capito che dobbiamo ricreare il giusto ritmo tra “tempo” ed “azione”: dobbiamo vivere il tempo e non ammazzarlo!

Gli adolescenti e la noia

L’adolescente si annoia perché non ha la possibilità di mettere “le sue azioni, nel suo tempo”: vorrebbe fare cose che gli vengono impedite, a volte perché effettivamente inadeguate, altre perché l’adulto lo limita nei suoi passi di crescita e di autonomia, non riconoscendo i suoi movimenti verso l’età adulta.

Nel mondo della ricerca psicologica, lo studio della “noia” ha ricevuto un’attenzione relativamente recente e per questo motivo, probabilmente, è un concetto che non ha trovato ancora una definizione univoca; tra le tante, quella di Eastwood et al. (2012) è interessante, perché la descrive non come “un’esperienza avversa di attesa, ma di incapacità ad impegnarsi in attività soddisfacenti”.

Con questa definizione, la noia viene vista come un costrutto che assale la persona, ma che è determinata dall’ambiente circostante; per quanto molto meno poetica della visione intra-psichica prospettata fino ad ora, quest’idea ci consente di presentare il modello teorico di Mihali Csikzcentmihalyi che mette in campo due dimensioni l’abilità e la sfida ed afferma che quando il grado di un’abilità è più alto dell’opportunità di usarla (o della sfida del compito), il risultato è la noia.

Moravia nel romanzo “La noia”, descrive in maniera particolareggiata questo stato d’animo e fa vivere al pittore Dino, protagonista del romanzo, una profonda apatia, dovuta al fatto che egli non trova più sollievo nella pittura, perché la propria abilità pittorica, divenuta nel corso del tempo una certezza, non lo diverte più. Gli ambienti, i rapporti, il suo mestiere non sono più in grado di fornirgli carica e interesse per la vita e cade nel baratro della passività.

Condivido meno questa prospettiva, ma guardare le cose da più punti di vista è sempre stimolante; quindi, prendiamoci il tempo di oziare un po’, di assaporare la noia e dare spazio ad un momento di riflessione.

Chissà che non possa essere un’occasione di confronto con i nostri ragazzi adolescenti!

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