I rom: pregiudizi e discriminazione

Non esiste popolazione nel nostro paese che subisca una discriminazione così radicata e diffusa come i rom.
L’ostilità che suscitano è tale che spesso non si tenta nemmeno di capire, di guardare con occhi aperti e non velati dal pregiudizio persone che vivono in mezzo a noi, nelle nostre città, ma – in tutti i sensi – sono tenute ai margini delle nostre vite e della nostra organizzazione sociale. Questa discriminazione, di origine antiche e di ampia diffusione europea, ha comportato lo sterminio nei campi di concentramento di circa 500.000 rom, quel porrajmos di cui si parla e si sa troppo poco, ricordato in questi giorni in occasione della Giornata della Memoria. Da dove nasce questo pregiudizio che ha portato alla diffusione di vere e proprie leggende metropolitane? Gli zingari rapiscono i bambini, sono tutti ladri, sfruttano i bambini mandandoli a mendicare, vivono bene nella sporcizia. Prima di tutto dalla atavica paura che suscita la diversità: le minoranze rom, sinte, kalè – in Italia sin dal ‘400 – hanno strutture sociali e quindi regole che le differenziano moltissimo dalle società “occidentali”.
Tra queste differenze ci sono: una cultura a trasmissione orale anziché scritta, che impedisce il diffondersi al di fuori delle comunità della loro storia e delle loro idee; il valore della famiglia, per cui si entra a far parte della società e dell’età adulta quando ci si sposa e si ha un figlio, mentre nessuna o poca valenza viene attribuita al possesso di una professionalità o di un lavoro; il fatto di non ambire a una stabilità abitativa; la maggiore importanza data alla trasmissione diretta ai figli della propria storia e della propria cultura rispetto alle nozioni impartite dalla scuola.

Questa diffidenza nei confronti della scuola trova spiegazione nel timore forte e legittimo che possa far perdere ai loro figli la loro identità peculiare. D’altra parte è comprensibile che sia difficile accettare di far istruire i figli secondo dettami, storie e civiltà che hanno codici valoriali ed esistenziali differenti e che nulla prevedono per consentire l’identificazione dei bambini rom con la loro cultura. Non solo, ma la diffidenza di cui i rom sono oggetto da parte di molti rendono problematici il percorso scolastico di questi bambini e la loro partecipazione attiva alla vita della classe. Perché se la scuola chiede un’adesione radicale del bambino a una tradizione che non corrisponde alla sua condizione esistenziale, questo preferirà abbandonare, tornare a casa dove si sento protetto.

Esperti di madre lingua, con l’aiuto soprattutto della psicopedagogia e dell’antropologia culturale, possono veramente creare progetti mirati a rilevare l’entusiasmo e la volontà dei ragazzi rom, con il consenso delle famiglie assicurando loro che il traguardo finale non sarà la perdita dei figli ma l’affermazione di essi nella società tramite professioni congeniali al potenziale Rom, questo potrà tranquillizzare dalla paura di sparire per sempre come popolo. Perché di questo si tratta.

Allora se accettiamo l’idea della diversità come patrimonio da salvaguardare nel rispetto di un’identità data e perdurata nei secoli con una lingua annessa, con dei costumi annessi, con tradizioni annessi, dunque se accogliamo il concetto di reciprocità di valori e idee divergenti, ebbene questo non può fare a meno di farci intendere in che cosa consiste la differenza che ci divide.
Urge l’idea di costruire un percorso che ci possa far incontrare.

(Dott. Bruno Morelli, rom abruzzese, dal Blog Rom Sinti @ Politica )

La discriminazione nei confronti dei rom è direttamente responsabile dell’aumentare del disagio di chi vive in condizioni ai limiti della decenza, di chi vede le persone al loro apparire controllare la borsa, attraversare la strada o prendere per mano i bambini, di chi si sente considerato una nullità, un peso o un criminale.

Sul problema della microcriminalità è interessante l’opinione di Sukrija, un rom italiano che fa una analisi lucida e attenta della realtà del suo popolo:
Il fenomeno della microcriminalità – che ultimamente è causa di forti tensioni sociali – è caratteristico (ovviamente minoritario e proprio di piccoli nuclei di persone) degli ultimi 40-50 anni, quando le condizioni di questo popolo si sono impoverite ai limiti della sopravvivenza. Nessun documento, infatti, che si riferisce alla storia di questa popolazione evidenzia fenomeni criminosi da prima degli ultimi 50 anni. Ciò è dovuto a un cambiamento delle condizioni sociali, in particolare alla scomparsa della società di tipo rurale per un’economia di tipo industriale. Fino a quel momento le comunità rom potevano vivere spostandosi in una società agricola grazie alle attività di calderai, stagnini, allevatori di cavalli, lavoratori artigianali del metallo, ecc. mantenendosi sui bisogni della società ospite, e potendo comunque mantenere la propria organizzazione del tempo e del lavoro. Adesso l’organizzazione sociale occidentale è molto più complessa e rende estremamente difficile la sopravvivenza di questo tipo di attività.
Con l’urbanizzazione e la sedentarizzazione si è facilmente arrivati alla perdita dell’autonomia economica e di conseguenza al rischio della perdita di identità di un popolo che oggi soccombe all’inconciliabilità tra la propria cultura con la società del lavoro, dei consumi, degli spazi chiusi e del tempo organizzato.

I rom nella loro vita nomade aderivano a una concezione dello spazio e del tempo ciclica, estranea all’orologio e vicina a quella delle società contadine di epoca preindustriale; molto diversa da quella progressiva e cumulativa delle società industrializzate, che opera una capillare razionalizzazione dello spazio e del tempo corrispondente ai bisogni di efficienza del sistema, della produzione, e della regolarità della vita quotidiana.
Ignorati, rifiutati o ghettizzati nelle più degradate periferie urbane, i rom vivono oggi una condizione di povertà ed emarginazione che spinge con più facilità i più deboli di loro verso l’illegalità o la devianza.

Garantire condizioni di vita decenti può essere il primo passo per far uscire dal ghetto questo popolo e per trovare un punto di incontro comune, che possa consentire una serena convivenza nel nostro paese.

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