Ad otto anni dall’introduzione della legge sui congedi parentali (L. 53/2000) che prevede la possibilità anche per i padri di usufruire di permessi parzialmente retribuiti per la cura dei figli, il bilancio è sconfortante. Pochissimi, infatti, gli uomini che nel 2006 hanno usufruito di questa normativa: la media è di circa 4% sia nel settore privato, che in quello pubblico, nonostante la contrattazione di questo settore preveda condizioni di miglior favore, tra cui un mese di congedo a stipendio pieno (dati Inps, rielaborati da Corriere della Sera).
Sicuramente un ostacolo importante all’utilizzo di questo permesso è la scarsità della retribuzione, pari a circa il 30% dello stipendio. Considerato che la maggior parte delle famiglie ha assoluta necessità di mantenere intatto il proprio bilancio, non è sempre possibile usufruire per periodi prolungati del congedo.
Questo scarso successo, però, è indicativo di una resistenza culturale ancora molto forte da parte degli uomini a condividere i compiti di cura dei figli e della casa. È sempre più evidente come continui a ricadere sulla donna il carico maggiore del lavoro familiare, con tutte le conseguenze che ciò comporta: ancora oggi, in seguito alla maternità, una donna su 9 esce dal mercato del lavoro e il tasso di fecondità è comunque uno dei più bassi in assoluto (1,3 figli in media per donna). Una maggiore condivisione dei compiti in casa e una minore penalizzazione dei periodi di astensione per maternità e cura dei figli da parte dei datori di lavoro consentirebbe ai genitori lavoratori di effettuare scelte non obbligate, ma in linea con le legittime aspirazioni di ciascuno.
Della stessa cultura risente il modello organizzativo prevalente nelle aziende, basato ad esempio sulla presenza costante piuttosto che sulla capacità di portare a termine un progetto o un compito, dove un periodo di assenza prolungata dal posto di lavoro è spesso considerato il peggiore dei mali. Molte imprese, quindi, non investono sulle risorse femminili per evitare i rischi di potenziali assenze e tendono a stigmatizzare anche i rari atteggiamenti maschili più attenti alle necessità familiari.
In realtà, come sostiene Mario D’Ambrosio, presidente dell’Associazione italiana direttori del personale, nei paesi in cui c’è una maggiore condivisione dei carichi di lavoro fra uomo e donna, le imprese non perdono affatto di competitività e produttività, ma spesso ottengono risultati migliori di quelle in cui è applicato un modello organizzativo prevalentemente “maschile”.
Di questi dati si dovrà tenere conto se e quando si porrà mano al riordino e alla revisione della normativa sui congedi parentali, previsto nella finanziaria 2008 e delegato al governo, allo scopo di aumentare la flessibilità di fruizione dei congedi e di incrementarne la retribuzione, in modo da rendere effettiva la possibilità di conciliazione tra lavoro in casa e fuori casa.
È auspicabile che si avvii un cambiamento culturale che attribuisca un valore sociale condiviso alla genitorialità e alle esigenze di cura e assistenza in senso lato e che questa condivisione si rifletta anche nelle politiche di conciliazione che non possono riguardare soltanto le donne. Continuando ad attribuire quasi esclusivamente alle donne il compito di conciliare i diversi ambiti di presenza (famiglia e lavoro), si è implicitamente sottolineato il fatto che la gestione dei figli e della casa fosse una loro pertinenza esclusiva.
In quest’ottica risulta interessante la proposta, sostenuta ad esempio da Susanna Camuso segretario generale della CGIL Lombardia, di istituire un periodo obbligatorio di congedo parentale per i padri, così come avviene per le madri, naturalmente interamente retribuito.
Questo provvedimento contribuirebbe a promuovere quel cambiamento culturale necessario a coinvolgere maggiormente i padri nella vita domestica, diminuendo il divario in termini di impegno familiare tra uomini e donne. La cultura d’impresa dovrebbe valorizzare e incentivare questa condivisione, non penalizzando professionalmente chi si fa carico del lavoro di cura, ma considerando famiglia e genitorialità valori rilevanti, tappe centrali nella vita di un lavoratore, delle quali tenere conto nell’organizzazione teorica e pratica dei contesti lavorativi e professionali.
Il valore aggiunto di questo provvedimento consisterebbe in primo luogo nella proiezione di un nuovo modello di paternità capace di riconoscersi non solo nel tempo di lavoro, ma anche in quello dedicato ai figli e alla famiglia, rivolgendo l’attenzione non più o non soltanto alle madri, ma piuttosto ai padri, spesso i veri assenti nel rapporto di conciliazione tra lavoro e vita familiare.
Per saperne di più
Papà a casa: solo 4 su 100 Rita Querzè, Corriere della Sera del 27 gennaio 2008
Uomini e donne moderni. Le differenze di genere nel lavoro e nella famiglia. Nuovi modelli da sostenere, a cura di Giovanna Altieri per Ires-CGIL, ottobre 2007
Donne, madri e lavoratrici. Criticità e dilemmi dell’occupazione femminile, a cura di Valentina Cardinali, Centro Studi e ricerche ISFOL 2007
Congedo obbligatorio ai neo papà in azienda: primo caso in Italia. Impegno assunto dalla Cassa Rurale di Aldeno e Cadine in collaborazione con il PROGETTO EQUAL GE.L.S.O. >>Link
Congedi parentali. Poco utilizzati dalle donne, pochissimo dagli uomini, ma è in arrivo la riforma Alessandra Servidori, Il Sole 24ore del 4 gennaio 2008
Finanziaria: un emendamento per una maggiore fruibilità del congedo parentale, Women news.