Autrice: Lavinia Barone. Laboratorio per la psicologia dell’attaccamento e il sostegno alla genitorialità-LAG (http://lag.unipv.it/)
La famiglia è il luogo dove si creano i più importanti legami emotivi e i genitori ne costituiscono modello e guida. La teoria dell’attaccamento ha illustrato, ormai da più di un secolo, come quest’affermazione costituisca un riferimento certo in situazioni e età della vita molto diverse, mostrando la sua validità “dalla culla alla tomba” (j. Bowlby). Ma possiamo affermare lo stesso quando i figli diventano adolescenti? Quale genitore non prova in quel periodo un senso di smarrimento, non prova a volte stress, rabbia e incomprensione per come i comportamenti e la sensibilità dei propri figli è cambiata e non appare più riconoscibile? Si sono trasformati in “altro” da come li hanno cresciuti e la comunicazione è diventata un “codice da tradurre, non più intuitivo” “non si sa come parlare loro, è tutto difficile”; sono alcuni dei commenti che ho raccolto tra i genitori che si rivolgono al nostro centro universitario per trovare orientamento e aiuto.
La prima domanda che ci possiamo porre è ispirata da quanto scriveva John Bowlby, medico e psicoanalista che ha elaborato la teoria dell’attaccamento, riferimento essenziale per capire i legami familiari «Oggi sappiamo che il principale compito della psichiatria dell’età evolutiva è studiare la continua interazione e influenza reciproca tra l’interno e l’esterno non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e l’età adulta.» (Bowlby, 1988, p.1). È dunque vero che esiste un filo rosso che collega il bambino con l’adolescente, e che quel bisogno di vivere un legame di attaccamento è presente anche negli adolescenti?
La seconda domanda prende spunto da un’altra frase altrettanto significativa “Se una società vuole veramente proteggere i suoi bambini deve cominciare con l’occuparsi dei genitori”. (J.Bowlby); in che modo i genitori possono costituire una risorsa per “raggiungere” i ragazzi e davvero incidere sul loro benessere e sui loro comportamenti?
Cosa ci dice oggi la psicologia dello sviluppo sugli adolescenti
La psicologia ha raccolto oggi molti dati e osservazioni su come funzionano il cervello, la mente e il comportamento degli adolescenti (Dahl et al., 2018). Le diverse posizioni convergono su un fatto: l’adolescenza è un’età di profonde trasformazioni che coinvolgono più piani del funzionamento psicologico, da quello individuale a quello relazionale, a quello sociale. All’interno di queste trasformazioni, ne troviamo almeno un paio che appaiono particolarmente significative per capire la natura delle sfide che quest’età porta con sé; la prima riguarda la maturazione cerebrale, la seconda i comportamenti di rischio.
È indubbio che il cervello attraversi importanti trasformazioni in adolescenza. Un’immagine ci aiuta a comprenderle: il cervello funziona “a due velocità”, con la parte sottocorticale, nelle sue componenti deputate a processare le emozioni (ad es. l’amigdala), che si sviluppa per prima (Sawyer et al., 2018), e con la parte corticale – in particolare l’area prefrontale preposta alla pianificazione, mediazione e controllo dei comportamenti – che matura con maggiore lentezza, arrivando a completa maturazione a circa 20 anni per le femmine e qualche anno dopo per i maschi. Ne deriva un’età più capace di “sentire” in maniera intensa le emozioni, che di saper scegliere ed agire in maniera pianificata e controllata, un’età fisiologicamente “egocentrica”, tesa ad occuparsi di sé e attratta dal rischio e dallo sperimentare cose nuove. Un po’ come se l’adolescente, grazie allo sviluppo sottocorticale, avesse in mano una Ferrari e, con lo sviluppo prefrontale, avesse in realtà appena preso la patente.
È anche per questa naturale conformazione dello sviluppo adolescenziale che è un’età in cui insorge la maggior parte dei cosiddetti “disturbi neuropsichiatrici” o, senza arrivare a situazioni estreme, si manifestano diverse sfide e crisi nella comunicazione tra genitori e figli.
I genitori contano: l’attaccamento ancora al centro
Nonostante l’opinione comune ricordi quanto questa sia un’età in cui ci si allontana progressivamente dai genitori alla ricerca di una propria autonomia, e si privilegia il rapporto con amici e partner, la ricerca psicologica ha mostrato come il rapporto con i genitori conta in realtà ancora molto e, in alcuni casi, determini lo sviluppo e il benessere dei ragazzi anche più di quello con i pari (Barone, 2021; Morris et al., 2017). Per andare contro le apparenze, che molto spesso sembrano dare testimonianze contrarie che vedono adolescenti in aperto conflitto, in evitamento o in crisi nel rapporto con i genitori, bisogna perciò guardare oltre l’ovvio e imparare da alcune “evidenze” della ricerca psicologica.
La qualità della relazione genitore-adolescente risulta centrale nell’arginare il malessere psicologico e nel favorire un adeguato apprendimento sociale. Secondo lo psichiatra infantile inglese John Bowlby, fondatore della Teoria dell’Attaccamento, il bisogno primario di ogni essere umano è quello di essere accuditi e protetti, di sentirsi in connessione emotiva con un altro “affettivamente significativo” (Bowlby, 1988). Le relazioni di attaccamento sono perciò i primi modi che ciascuna persona sperimenta per sentire se stesso e le proprie emozioni grazie alle relazioni affettivamente importanti che sviluppa con le persone che se ne prendono cura in maniera continuativa e dedicata. I legami di attaccamento rappresentano i primi e fondamentali mattoni per imparare a gestire e riconoscere la propria vita emotiva, per conoscere che il dolore e la sofferenza possono essere superati grazie alla consolazione dell’adulto, per scoprire che le emozioni sono un ingrediente fondamentale di ogni processo di apprendimento.
Numerosi studi mostrano come la sicurezza d’attaccamento nel rapporto genitore-adolescente sia foriera di migliore adattamento e benessere dei ragazzi e di una minore propensione degli stessi a sviluppare ansia, depressione o problematiche comportamentali (ad es. Moretti and Obsuth, 2009; Goulter et al., 2019). I genitori, quindi, sono ancora un veicolo importante per promuovere il benessere dei figli e per svolgere quella funzione “protettiva” che significa, in adolescenza, trovare equilibrio tra il bisogno di autonomia e il bisogno di sentirsi emotivamente vicini e connessi.
Cosa fare quando i problemi dei figli sono sfide troppo impegnative o ci si sente esausti o sfiduciati?
Ricordarsi che i genitori sono ancora importanti, e che spesso il modo di comportarsi dei figli esprime un bisogno di attaccamento – di autonomia o di connessione emotiva – è una risorsa preziosa. Ma come fare quando sembra che tutte le porte di accesso alla comunicazione siano sbarrate e i modi provati fino ad ora non funzionano?
Negli ultimi anni si sono sviluppati alcuni interventi che prendono il nome di interventi a sostegno della genitorialità e che si rivolgono esplicitamente ai genitori per rispondere a questa domanda. Nello specifico, questi interventi hanno alcuni vantaggi interessanti per affrontare le sfide che l’adolescenza pone ai genitori: sono di breve durata, sono mirati e specifici per genitori di adolescenti, hanno prove ripetute di riuscire a ottenere ciò che dichiarano di poter fare – sono cioè interventi sperimentati che hanno accumulato negli anni numerose prove di efficacia.
I vantaggi elencati sono centrali per affrontare le questioni che abbiamo descritto, con successo, ma appartengono a un numero ristretto di interventi; la maggior parte infatti non possiede questi requisiti.
CONNECT parent group è un programma di intervento di origine canadese che possiede i requisiti di cui stiamo parlando (Barone et al., 2021; Moretti and Obsuth, 2009), si basa sulla teoria dell’attaccamento e, nel corso di 10 sessioni di gruppo, conduce i genitori in un percorso di scoperta delle proprie capacità di comprendere i propri figli e modificare l’approccio con cui si comunica con loro, riducendo in tal modo conflitti, incomprensioni e problematiche comportamentali.
Spesso è difficile coinvolgere i figli adolescenti in percorsi psicologici, mentre i genitori mostrano una motivazione più comprensibile e, soprattutto, una consapevolezza maggiore di quanto sia vitale riuscire a recuperare la forza della loro relazione con i figli per superare momenti di crisi o sfide che sembrano difficili da affrontare. Lavorare solo con i genitori e avere un effetto anche sul comportamento dei ragazzi è perciò un indubbio vantaggio. E sapere che lavorando sull’attaccamento – ossia sui bisogni di relazione di genitori e ragazzi – si modificano anche malesseri psicologici come depressione, aggressività, ansia o comportamenti di rischio è la testimonianza di come il cervello “a due velocità” degli adolescenti non sia solo un limite alla loro possibilità di controllarsi e non farsi trascinare dalle emozioni, ma sia anche un’opportunità. Puntare su emozioni e relazioni fa la differenza.
Testimonianze che contano
Qualche commento raccolto tra i genitori dopo avere frequentato il programma CONNECT offre una valida testimonianza di ciò che stiamo descrivendo.
Un padre: “Anzitutto mi è piaciuto molto. È una di quelle esperienze che effettivamente sarebbe da suggerire a chiunque anche perché non c’è un manuale su come fare il papà, su come fare il genitore. Insomma, questa cosa qua ti fa molto pensare, ti lavora dentro anche quando non siamo in questa ora e mezza che spendiamo assieme. Effettivamente poi i pensieri continuano a girare dentro e quindi ti viene da dire “mi sono comportato bene o no?”. Per esempio, ho fatto qualche analisi anche su comportamenti passati. Forse vale la pena, ed è questo magari l’insegnamento maggiore, di fare un bel respiro profondo, pensare che comunque ci sono dei ragazzi che molto spesso cambiano comportamento e anche il loro comportamento può essere mitigato dal nostro comportamento. Quindi anche la capacità di sapere ascoltare e di andare sempre più verso una connessione maggiore, fermo restando che poi ci sono delle volte in cui ci sono dei problemi tra virgolette “oggettivi” e si lasciano lì, si mettono da parte, e poi si riprova a riprenderli. Ecco, questa è la cosa che mi porto dentro”.
Una madre: “Allora, veramente bellissimo come ho scritto nel questionario. Oltre ad avere degli strumenti eccezionali in più per far fronte alle situazioni, anche un senso di forza del gruppo quindi un sostegno perché comunque condividere certe cose fa proprio bene. Ve l’ho anche scritto se magari è possibile renderlo non dico permanente tutti i mercoledì però non so … qualcosa per non perdersi”.
Un padre: “Io l’ho trovato … non vorrei usare una parola eccessiva quale io sono … dirompente. Per me è stato davvero dirompente sia nel rapporto espressamente con V. che sto creando … mi sto rendendo conto, più che ri-creando … ma anche col fratello più grande e paradossalmente anche col fratello più piccolino che è lontano ancora un po’, per fortuna, dall’adolescenza. Di sicuro la cosa che mi è piaciuta enormemente è il fatto che i principi così scanditi che all’inizio mi avevano un po’ lasciato perplesso mi hanno dato sempre il tempo di basarsi, di sedimentarsi e quindi guardare un pezzettino in più alla volta. Effettivamente l’aspetto che sicuramente è vincente è che si vedono i risultati cioè, alla fine dei conti, dopo otto settimane alcuni aspetti, comunque, chiunque di noi li ha visti, credo”.
Per concludere
Se è vero che l’adolescenza è un periodo di trasformazioni non sempre facili da accettare e da gestire, i genitori possiedono ancora punti di forza che è importante valorizzare e scoprire. Sapere come “decifrare il codice” delle comunicazioni con i figli è la chiave per “leggere” dietro comportamenti diversi – che possono sembrare di rifiuto o chiusura – i bisogni di attaccamento che cercano di esprimere. La fiducia si può recuperare anche nelle situazioni più difficili e di rischio; in quei casi è utile trovare programmi psicologici mirati che abbiano prove di efficacia già sperimentate. L’esperienza degli altri genitori e il cammino comune contribuiscono a rendere l’esperienza una forma di riscoperta del proprio essere e fare il genitore, che da sempre in adolescenza è un lavoro non facile. Le parole di Socrate suonano emblematiche; sta a noi riuscire oggi a confutarle o a farle diventare ispiratrici di nuove speranze:
La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori.
469-399 A.C. Socrate
Bibliografia
Barone, L. (2021). Le emozioni nello sviluppo. Percorsi tipici e atipici. Carocci, Roma.
Bowlby, J. (1988). A secure base: Parent-child attachment and healthy human development. New York: Basic Books. Trad. it. Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1989.
Dahl, R.E., Allen, N.B., Wilbrecht, L., and Ballonoff Suleiman A., (2018). Importance of investing in adolescence from a developmental science perspective. Nature Perspective, 554: 441–450. DOI: 10.1038/nature2577
Goulter, N., Moretti, M.M., del Casal, J.M. and Dietterle, P. (2019). Attachment insecurity account for the relationship between maternal and paternal maltreatment and adolescent health. Child Abuse & Neglect, 96: DOI: 10.1016/j.chiabu.2019.104090
Moretti, M.M., Obsuth, I. (2009). Effectiveness of an attachment-focused manualized intervention for parents and teens at risk for aggressive behaviors: The CONNECT program. Journal of Adolescence, 32: 1347–1357. DOI: 10.1016/j.adolescence.2009.07.013
Sawyer, S.M., Azzopardi, P.S., Wickremathne, D. and Patton, G.C. (2018). The age of adolescence. The Lancet Child & Adolescent Health, 2: 223–228.