di Fatima Uccellini
La preadolescenza coinvolge i ragazzi che vanno dai 10/11 ai 14 anni, cioè da metà della quinta elementare alla fine della terza media ed è caratterizzata da complesse e rapide trasformazioni, fisiche, psichiche e sociali, che incidono irreversibilmente e in modo globale sullo sviluppo della personalità.
Sotto il profilo più strettamente sessuale, la preadolescenza rappresenta anche un momento cruciale per la manifestazione e la stabilizzazione delle cosiddette “condotte di genere”, per cui i ragazzi e le ragazze sentono il bisogno di evidenziare il proprio ruolo di maschio e di femmina seguendo i modelli proposti in famiglia e dalla propria cultura di riferimento manifestando comportamenti, gusti ed interessi tipicamente maschili o femminili. Ma la preadolescenza di un figlio, in quanto fase di un processo di crescita complesso e multidimensionale, può creare ai genitori, non poche difficoltà, a diversi livelli, nella relazione con lui: essa, infatti, rappresenta come e, forse, anche più dell’adolescenza, un’epoca cruciale di cambiamenti somatici e psicologici, l’età del “non più bambino … non ancora adulto”, delle esperienze “forti” legate al distacco dall’infanzia, laddove, però, non sono stati acquisiti ancora completamente quegli strumenti psico-emotivi atti ad affrontarle ed elaborarle.
Il corpo che, nella prima infanzia ha veicolato la fondamentale relazione affettiva con la madre basata sulle pratiche di accudimento e su un intenso contatto fisico e che ha rappresentato il mezzo per sperimentarsi nell’ ambiente attraverso l’esplorazione e la manipolazione, con l’avvio della preadolescenza, diventa il focus su cui convergono gran parte delle attenzioni e delle ansie dei ragazzi.
Le perplessità, i dubbi ed i timori che accompagnano questi cambiamenti riguardano, per lo più, la loro adeguatezza e l’idea di “normalità”: il preadolescente, spinto dal bisogno di conferme e di rassicurazione, osserva attentamente se stesso ed i suoi coetanei nel tentativo di crearsi un parametro di riferimento per valutare se e quanto il proprio accrescimento corrisponda a quello degli altri e, quindi, risulti più o meno adeguato e conforme ai suoi pari.
Tuttavia, nella realtà dei fatti, si osserva come la grande variabilità con la quale la maturazione puberale si presenta da individuo a individuo (più nelle femmine che nei maschi, in verità) tenda a creare nel preadolescente una serie di problemi legati ai ritardi o, viceversa, agli anticipi nella crescita rispetto ai propri coetanei inducendo o amplificando nel ragazzo sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza. Appare evidente, come tutti questi vissuti legati anche ai cambiamenti somatici abbiano sul preadolescente conseguenze psico-emotive affatto trascurabili: le modificazioni somatiche possono rappresentare per lui, infatti, la perdita di quel senso di sicurezza e di autostima che aveva costruito durante la sua recente infanzia associata alla mancanza di coordinate stabili e certe.
In tal senso, la preadolescenza impone un primo impegnativo compito di sviluppo consistente nella ristrutturazione della propria identità corporea che comporta l’acquisizione ed il riconoscimento di quei cambiamenti somatici avvenuti e della nuova immagine fisica che ne consegue. In questo senso, lo sport sembra rappresentare proprio una delle attività maggiormente adeguate a favorire questo delicato processo e a rispondere alle esigenze tipiche dell’epoca preadolescenziale. Essa, di fatto, attraverso il movimento e la coordinazione, favorisce la costruzione di una corretta immagine corporea spazio-temporale e lo sviluppo di un comportamento cooperativo e sociale mediante la condivisione di valori, comportamenti ed obiettivi con il gruppo di pari. Inoltre, l’attività sportiva facilita lo sviluppo del senso di responsabilità e dell’autostima grazie al rispetto delle regole sportive e tende ad ampliare il gruppo di riferimento degli adulti, introducendo figure extrafamiliari (quali l’allenatore, ad esempio) che, attraverso la relazione con il ragazzo e l’immagine di sé che gli rimandano, concorrono in modo altrettanto importante alla costruzione dell’identità. Viceversa, l’attuale eccesso nell’ utilizzo di “media” che si registra tra i preadolescenti, quali sms, chat e social network (facebook, twitter..) rischia di penalizzare l’aspetto di sperimentazione del Sé corporeo ed il confronto diretto e reale con i pari: infatti, se da un lato l’uso della tecnologia apre la possibilità a nuove e diverse forme comunicative, dall’altro porta alla graduale contrazione dello spazio e delle possibilità legate alla comunicazione reale col mondo, allo scambio fisico-corporeo con gli altri partendo da sé, sostituito sempre più da relazioni virtuali-simboliche.
Dal punto di vista psico-emotivo, non volendo ridurre la preadolescenza ad una sola epoca di modificazioni staturo-ponderali e sessuali, l’obiettivo più grande con il quale il preadolescente è chiamato a misurarsi, in realtà, è quello di riuscire a organizzare e a dare un senso ai cambiamenti che si stanno attuando non solo fuori di sé, ma anche al suo interno. Questo delicato processo di “attribuzione di significato” ai mutamenti e alle emozioni che inizia in preadolescenza, ma continua e si struttura sempre più in adolescenza, prende la forma di una vera e propria ricerca di tanti “potenziali sé”, costruiti intorno ad una serie di domande cruciali in cui, oltre a “chi sono?” e a “chi vorrei essere?”, il ragazzo si chiede, soprattutto, “chi dovrei essere?” , cioè quali aspettative gli altri (leggi: genitori,insegnanti, altri adulti significativi e coetanei) abbiano nei suoi confronti.
Infatti, solo attraverso un’esperienza quotidiana costruttiva, fondata su un confronto dialettico continuo e sufficientemente sereno con un ambiente familiare e sociale accogliente e recettivo, il preadolescente può realizzare la ricerca di se stesso, dei propri gusti e interessi personali, dei desideri e delle istanze, esercitandosi ad ascoltare con attenzione non solo i segnali e le sensazioni che rimanda il corpo ma anche e, soprattutto, le emozioni e i pensieri connessi ad ogni comportamento e ad ogni evento in cui è coinvolto. Si tratta di un compito non facile poiché, in questa fase evolutiva, le stimolazioni interne che giungono al preadolescente sono molteplici e molto diverse tra loro, spesso talmente ambivalenti e conflittuali, da fargliele percepire come eccessivamente complesse e poco comprensibili. Perciò, non è difficile osservare nei ragazzi manifestazioni di insofferenza ed irritazione associati, spesso, ad una spiacevole sensazione di inadeguatezza e di apparente assenza di motivazione che, nei casi più estremi, come reazione all’indeterminatezza e alla confusione interiore percepite, si evidenzia con la rinuncia a ricercare una propria dimensione, ad operare scelte e a decidere sperimentando se stesso e le proprie capacità. Altre volte, la difficoltà a riconoscere e a definire l’insieme di emozioni e sensazioni percepite, può portare il preadolescente a rappresentare il proprio mondo interno attraverso un vero e proprio “acting out” (letteralmente: “passaggio all’atto“), cioè un gesto, un’azione impulsiva che prende la forma di uno scoppio emotivo improvviso, che evidenzia la difficoltà ad arginare e canalizzare attraverso modalità maggiormente funzionali per sé e per gli altri le emozioni e gli impulsi percepiti.
L’acting out può assumere forme diverse, come una fuga da casa o un gesto di auto o eteroaggressività: attraverso il passaggio all’atto il preadolescente, senza riflettere e senza valutare le conseguenze dei suoi comportamenti, esprime un’emotività non controllata e non elaborata attraverso il pensiero, spesso, anche a causa del mancato sostegno di un ambiente familiare e sociale scarsamente contenitivo e recettivo. La difficoltà nel dare un senso agli stati d’animo e alle emozioni e a comunicarle in modo chiaro e costruttivo, amplificando lo stato di indeterminatezza ed insicurezza del ragazzo, può portare inoltre, allo sviluppo di altre forme di disagio sia in preadolescenza che in adolescenza che, negli ultimi anni, sono state, ad esempio, evidenziate anche dall’abbassamento d’età in relazione alle cosiddette “condotte a rischio” quali il precoce ricorso al fumo, l’assunzione di alcolici, le condotte violente verso sé stessi e verso gli altri (bullismo), i disturbi alimentari.
Il contenimento e la “traduzione” del mondo emotivo interiore, in significati che abbiano un senso per il preadolescente, insieme al riconoscimento dei cambiamenti del proprio aspetto fisico possono essere favoriti da un atteggiamento rassicurante e valorizzante da parte dei genitori e, in generale, degli adulti di riferimento. Essi, accogliendo le istanze del figlio preadolescente, è importante che dimostrino estrema attenzione e rispetto verso l’eventuale disagio emotivo esperito dal figlio (evitando, ad esempio, di minimizzare/ironizzare, ma neppure di amplificare/esagerare), anche in ragione del ricordo di tutte le ansie, i dubbi e le inquietudini che, a loro volta, hanno vissuto nel loro passato di preadolescenti.
In questa fase evolutiva, diventa fondamentale, infatti, la vicinanza di adulti di riferimento che sappiano osservare, riconoscere e restituire ai figli i cambiamenti che stanno vivendo come qualcosa di naturale e desiderabile, come una normale evoluzione verso il mondo adulto. Accanto alle spiegazioni “biologico-tecniche” sul funzionamento del proprio corpo, in particolare per quanto riguarda la sfera sessuale, è necessario tenere a mente che i preadolescenti hanno estrema necessità di essere visti, riconosciuti ed ascoltati dai propri genitori per quello che sono e per ciò che portano nella relazione con loro. La disponibilità dei genitori nei confronti del loro modo di essere e l’ascolto attento e partecipato delle istanze e delle richieste di cui sono portatori, seppur non necessariamente sempre soddisfatte, rendono i figli preadolescenti maggiormente capaci di contestualizzare le regole e i valori proposte dai genitori, valutando realisticamente limiti e capacità di questi ultimi.
In tal modo, il preadolescente, attraverso un circolo virtuoso, efficace e funzionale alla propria crescita, sarà in grado di accedere al complesso processo di riconoscimento di sé, dei propri limiti ma anche e, soprattutto, delle proprie potenzialità. In definitiva, il figlio preadolescente, piuttosto che richiedere pareri, ricette preconfezionate o indicazioni concrete su come gestire le emozioni, la sua nuova fisicità e la sessualità, dai genitori si attende più domande che rispostenella speranza che gli offrano, scevri da eccessive ansie e patemi, la possibilità di sperimentarsi giorno dopo giorno senza drammi né pregiudizi da parte loro, nell’idea che sia possibile e naturale commettere errori e rimediare ad essi.
In conclusione, credo che la preadolescenza dei figli rappresenti per i genitori stessi un momento cruciale, una fase determinante che li spinga a ripensare e ristrutturare il proprio impegno educativo e relazionale in senso evolutivo, consapevoli che, rispondere alle esigenze del figlio, non significa certamente essere un genitore perfetto e irraggiungibile, né un genitore amico incapace di educare e contenere, ma neppure un genitore “predicatore”, dispensatore di sermoni e saggezza dall’alto della sua “adultità”. Viceversa, essere genitori di un preadolescente vuol dire rappresentare per lui un riferimento educativo empatico, partecipe, ma anche fermo e coerente, aperto al dialogo e al confronto, anche a tratti serrato, ma fondato essenzialmente sulla convinzione che il figlio possa riuscire a trovare, con modalità e tempistiche personali, soluzioni autonome e positive, adeguate alle sue esigenze anche se, probabilmente, diverse dalle proprie.
Bibiliografia
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