Autrice: Ilaria Giordani, Psicologa dell’ età evolutiva e psicoterapeuta specialista nel lavoro con adolescenti, giovani adulti e genitori.
La psicoterapia è un lavoro di relazione in cui la separazione tra ricerca scientifica, capacità terapeutica e persona del terapeuta è, certamente, artificiosa. Nella stanza di terapia entrano le persone nella loro interezza, fatte di corpo, del modo di muoversi, di piccoli gesti, del modo di stare nello spazio, di rispondere, di guardare, di interagire o di non farlo. La psicoterapia è un incontro tra quel terapeuta e quella persona che sceglie di essere un paziente, in quel determinato momento di vita. Ê certamente una relazione asimmetrica, dove c’è chi conduce e chi viene condotto, chi parla e chi ascolta, chi aiuta a vedere alcune cose e accoglie emozioni, parole, agiti e lavora con essi e chi, porta il materiale di lavoro. Ma, essenzialmente e prima di tutto, è uno spazio dove il terapeuta deve garantire rispetto e fiducia al paziente. Nel conoscere una persona che fa la richiesta di una psicoterapia ci si approccia con curiosità, accoglienza e osservazione, che si tratti di un adulto, di un bambino, di una famiglia, di un adolescente.
Quando in terapia va un adolescente
Ogni fase di vita in cui si incontra un terapeuta ha una particolare aspettativa e un certo pregiudizio. Gli adolescenti, ad esempio– in base alle esperienze dei rapporti con i vari adulti incontrati nella propria vita – si aspettano, spesso, che sia l’adulto terapeuta a decidere, a fare, a lavorare, ad essere attivo. È proprio questa sorta di pregiudizio che viene smontato nei primi o, meglio, nel primo colloquio con l’adolescente al quale viene sin da subito dato un ruolo attivo.
Verso la fine del primo colloquio, esplicitando la modalità di lavoro all’adolescente che abbiamo conosciuto, gli/le si propone un ruolo attivo:
“Ti propongo di fare tre o quattro colloqui, in modo da conoscerci un poco, individuare quello su cui c’è bisogno di lavorare, se reputiamo che ce ne sia in effetti bisogno e, soprattutto, vedere se io e te ci troviamo bene a lavorare insieme. Bada che la valutazione non è solo mia, è importante che anche tu scelga di voler lavorare sulle tue emozioni e su ciò che senti essere un tuo problema, con me. Potresti arrivare a capire che non hai bisogno di lavorare su nulla in questo momento della tua vita oppure che ne hai bisogno ma non ti sei trovata/o bene con me e preferisci farlo con un’altra persona. Sentiti libera/o di farlo e di dirmelo. Oppure può anche capitare che io e te scegliamo di proseguire dopo questi primi colloqui con una psicoterapia.”
“Devo dirti ancora che il mio rapporto di fiducia è con te. Io ho bisogno di vedere i tuoi genitori per chiedere loro delle cose (come ti vedono loro, cosa pensano stia succedendo, cose sulla tua prima infanzia, ecc.) e tu puoi scegliere se esserci o meno. Dopo i nostri primi tre o quattro incontri iniziali dovrei vedere per dir loro cosa abbiamo deciso noi di fare. Tu puoi sempre scegliere se esserci o meno. Nel caso dovessi scegliere di non esserci, io a te racconterò quello che emerge nel colloquio con loro e, ai tuoi, non parlerò di quello che tu mi racconti se non di ciò che io e te concordiamo essere utile perché loro possano conoscerti più a fondo e gli obiettivi del percorso terapeutico che abbiamo intenzione di intraprendere o perché abbiamo scelto di non proseguire.
Una relazione basata sulla fiducia
Questa è una comunicazione essenziale, sincera e nella quale viene riposta una profonda importanza. Spesso a queste parole l’adolescente sottolinea che non ha nulla da nascondere ai suoi, altre volte definisce chiaramente ciò che vuole non sia condiviso con loro. Alcuni adolescenti sono molto curiosi di essere presenti al colloquio con i genitori, di sentire quello che loro dicono di lui/lei e di vedere come vanno le cose, a volte sentono il bisogno di controllare, molte altre l’adolescente non ama essere messo in mezzo, non ama gli adulti che parlano di lui/lei e sceglie di non esserci.
In ogni caso la possibilità di scegliere e la dichiarazione di fiducia – nella quale vengono anche esplicitati i termini per cui, a norma di legge, la fiducia “deve” essere tradita (come ad es. essere vittima di qualche forma di abuso nel momento presente) – danno immediatamente una specifica connotazione alla relazione adolescente-psicoterapeuta, una relazione di rispetto, fiducia, asimmetrica ma dove entrambi sono soggetti attivi.
“… Parlandogli con schiettezza, non mentendogli, non dimostrando pietà e col tono generale del nostro discorso noi avremo empaticamente comunicato al ragazzo la nostra certezza che esistono forze in lui costruttive che egli può mobilitare e di cui si può servire … La comunicazione empatica, la comunicazione emotiva ha nel nostro rapporto con l’adolescente un’importanza condizionante il rapporto stesso … Ciò accade che lo si voglia o meno. Ciò comporta un fatto importantissimo: la promessa di lealtà e di rispetto essenziale alla validità del rapporto non può essere fatta se non corrisponde ai nostri veri sentimenti e convinzioni” (T. Senise, Problemi di Psicoterapia. Milano, 11-14 novembre 1962).
La relazione, insomma, va pensata come mezzo perché é nell’ambito della relazione paziente-adolescente e terapeuta e delle sue specifiche peculiarità che si sviluppa quella dimensione di alleanza, essenziale alla possibilità di fidarsi e affidare, di mettersi in gioco e di poter costruire e ricostruire.